ORO ALCHEMICO
QUARTA PARTE
Iniziamo la quarte parte dell’articolo sull’oro alchemIco continuando questo affascinante viaggio assieme.
L’ALCHIMIA MEDIEVALE
L’inizio dell’alchimia in Europa ha una data certa poiché esistono indicazioni precise in tal senso.
L’11 febbraio 1144, l’arcidiacono di Pamplona, Roberto di Chester, terminò di tradurre dall’arabo Il libro della composizione dell’alchimia.
Ricordiamoci che l’alchimia greca, come quasi tutta la scienza antica, giunse in Occidente passando attraverso l’Islam.
GLI ARABI
Gli Arabi avevano intrapreso un processo di assimilazione della cultura dei numerosi popoli vinti, entrando in contatto con il pensiero greco, sia direttamente, sia attraverso i cristiani nestoriani di Harran e di Edessa che tradussero i manoscritti greci in arabo.
Poi, i sapienti musulmani, si misero a loro volta a studiare il greco e, i loro scritti alchimistici, rivelarono una conoscenza approfondita di Platone, di Aristotele e dei presocratici.
Il più noto degli alchimisti musulmani fu Giabir ibn Hayyan che visse e lavorò alla corte di Harun al Rachid, il cui regno ha portato l’Islam al suo massimo splendore.
Giabir morì tra l’813 e l’833 lasciando numerosi scritti e testimonianze dei suoi lavori alchemici.
L’ALCHIMIA DI GIABIR IBN HAYYAN
Rispetto all’alchimia greca, nelle opere di Giabir si ritrovano molte innovazioni:
dalla scoperta dell’ammoniaca all’uso di sostanze organiche come sangue, orina, sudore, sperma, piante, etc. entrate poi a far parte dell’alchimia europea.
Egli fece delle speculazioni numeriche, ispirate alla teoria dei poliedri platonici e dei numeri magici di Pitagora.
Il termine “elisir” si deve proprio a lui, per designare la sostanza in grado di operare la trasmutazione dei metalli per ottenere l’oro alchemico.
Giabir spiega la genesi dei metalli con la combinazione, nel ventre della terra, dello zolfo con il mercurio.
L’idea non era originale poiché la si trovava in molte mineralogie arabe, ma era destinata ad una rivoluzione presso gli alchimisti europei.
L’ORIGINE DEL VOCABOLARIO ALCHIMISTICO
Attraverso la Spagna musulmana, le opere di Giabir e quelle di altri alchimisti arabi, penetrarono nel tessuto sociale europeo.
Le parole greche, trascritte male in arabo e mal riportate in latino, furono adottate sotto la loro forma araba nel vocabolario dell’alchimia:
Alambicco (al amgig, dal greco ambix), alcoli, alcool, athanor (il fornello degli alchimisti, dall’arabo al tannur, il fornello), arsenico (al zarnikh), benzoino (da luban jawat, resina di Giava)…
Un gran numero di queste parole mantennero in latino, sotto forma di prefisso, l’articolo arabo al. Così avvenne anche per la parola alchimia, in arabo al kimia, trascrizione di due parole greche, alchemeia e chymia, impiegate entrambe per designare l’arte ermetica e poi l’oro alchemico.
LO SVILUPPO DELL’ALCHIMIA IN EUROPA
Dalla seconda metà del XII secolo, l’alchimia fiorì in Occidente.
Fu grazie a traduttori come Roberto di Chester, Adelardo di Bath, Gerardo di Cremona e a divulgatori come Vincent de Beauvais che nel suo libro “Specchio della natura” descrisse l’alchimia prendendo spunto dal primo libro della Genesi.
Egli era convinto che i metalli crescessero in seno alla terra e che, l’alchimista, potesse affrettarne il processo di sviluppo, orientandolo al proprio volere come l’agricoltore agiva, allo stesso modo, nel regno vegetale.
Un altro contributo importante alla divugazione dell’arte achemica ci è stato offerto da Arnaud de Villeneuve, autore de “Il rosario dei filosofi e segreto dei segreti” che ebbe grande fama nei secoli successivi.
Altri autori invece, parlarono di alchimia in modo teorico senza averla mai praticata, come Tommaso d’Aquino che la credeva possibile e lecita purché non ci si servisse di processi magici.
Forse è proprio per questo che tutta quella letteratura non ha portato innovazioni rispetto all’alchimia araba.
LA POSIZIONE DELLA CHIESA
Tommaso d’Aquino, insieme ad altri teologi, era riuscito a conciliare l’aristotelismo con la fede cristiana anche se, un decreto di papa Giovanni XXII (1316-1334) condannò severamente l’alchimia e la interdisse, pena un’ammenda, il marchio d’infamia e la privazione di ogni beneficio, se chi si avvicinava all’arte alchemica era un ecclesiastico.
Non sembra che tali misure abbiamo sortito l’effetto sperato e, al contrario, il contributo cristiano arricchì l’alchimia di nuovi simboli e allegorie: Cristo, la Vergine, la Santissima Trinità (titolo anche di un manoscritto alchemico tedesco del XV secolo), i quattro evangelisti.
LA SPERIMENTAZIONE EUROPEA
Nonostante il contributo di illustri alchimisti europei, la sperimentazione alchemica era ferma.
E’ vero che Geber (alchimista anonimo) descrisse le operazioni di raffinazione del sale e della fabbricazione dell’acido nitrico, ma non ci furono contributi clamorosi che potessero superare quelli dei maestri arabi.
Petrus Bonus autore de “La preziosa petra novella” confessava di non essere mai riuscito a operare la trasmutazione alchemica e di non aver mai raggiunto il cosiddetto “oro alchemico” e, con lui, numerosi illustri alchimisti europei.
L’ARTE DELLA DISTILLAZIONE
Questo è il titolo scelto da due autori che hanno trattato l’argomento a distanza di un secolo l’uno dall’altro: Hieronymus Brunchwing (Il grande libro della distillazione) e Giambattista della Porta (Ars destillatoria).
Hieronymus Brunchwing è stato un chirurgo tedesco, alchimista e botanico famoso per i suoi metodi di cura delle ferite e per i suoi primi lavori sulle tecniche di distillazione.
Egli descrisse dettagliatamente i procedimenti distillatori (filtrazione e circolazione) presentando un elenco di sostanze a base di erbe, utili per la cura di svariate malattie.
Giambattista della Porta è stato un filosofo, alchimista e scienziato italiano che ha contribuito a raffinare le tecniche di distillazione scrivendo testi di botanica, di chimica e di idraulica.
La materia sottoposta a distillazione era contenuta in una fiasca sormontata da un capitello, in greco ambix (alambicco).
Poi, il distillato, veniva portato, attraverso un collo di cigno, in un altro recipiente.
Si credeva che la forma del recipiente influisse sull’operazione.
Giambattista della Porta raccomandava un alambicco a forma di orso per le piante “meno alcoliche la cui ascesa era difficile”, perché l’orso è, anche lui, “terrestre, viscoso, informe”.
Per una distillazione ripetuta si utilizzava il pellicano (particolare alambicco): “Le parti più sottili salgono per il collo e sono riportate dal becco nel petto aperto”.
CONCLUSIONI
Siamo giunti alla fine della quarta parte di “oro alchemico” e, nella quinta, parleremo di un alchimista che raccontò la sua avventura con tanta precisione, sincero entusiasmo e modestia che non si può fare a meno di occuparsi di lui: Nicolas Flamel…
…continua
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